Virginia Tango Piatti, in arte “Agar”

 

di Gigliola Tallone
gennaio 2009


 

Agar: Le reliquie di un ignoto, Roma 1915
Prefazione di Rosalia Gwis Adami
Archivio Tallone


L’ambiente, la gioventù, l’attività letteraria e il risveglio sociale

Virginia Sofia Cristina Emilia Maria Tango nasce alle otto di sera il 21 settembre del 1869 a Firenze, nella centrale via Maggio al numero 30. È figlia di nobili, il napoletano Vincenzo Tango e della torinese Paola Tarizzo Borgialli, figlia di Antonio, Controllore delle Regie Finanze, presso il quale Vincenzo inizia la sua carriera che culminerà a Roma nel 1897 con la carica di Procuratore Generale della Corte dei Conti, e di Virginia Jaquet, figlia di Antonio Jaquet, giurista e sottoprefetto del distretto di Susa. Delle tre sorelle Tango, solo la secondogenita Antonietta continua la tradizione famigliare, sposando il pretore e avvocato Carlo Ambrogio Poggi, figlio di Enrico Poggi, Guardasigilli del governo provvisorio di Toscana e Senatore del Regno a Torino dal 1860 al 1862, dove in quegli anni risiedeva Vincenzo Tango. La primogenita Eleonora sposa il pittore Cesare Tallone nel 1888, direttore dal 1885 della Cattedra di Pittura e Nudo all’Accademia Carrara di Bergamo e dal 1899 al 1919 dell’Accademia di Brera. Il fratello Francesco, nato a Firenze due anni prima di Virginia, laureato in ingegneria, sposa Eugenia Bonetti, figlia di Luisa dei Conti Serra e del colonnello comm. Ulisse Bonetti.
Nel procedere delle ricerche sulle orme di Virginia Tango, si profila una personalità di grande valore, che gli storici romani avrebbero immortalato con la frase lapidaria “Foemina ingens animi”.
Scrittrice, giornalista, traduttrice, femminista, pacifista, antifascista, e tra i suoi talenti, aggiungo splendida pianista e scultrice.
Cresce nell’ambiente romano aristocratico e colto di funzionari del Regno d’alto rango, vicini alla causa dei Savoia e alla fondazione dell’Unità d’Italia.
Legatissima al padre, erudito autore di testi giuridici e appassionato d’arte, tanto da dilettarsi nella pittura, lo assiste e aiuta nell’organizzare le sue giornate dense di incontri di personaggi dell’alta burocrazia e altre più mondane occasioni. Non mancano opportunità, in casa Tango, per discussioni sulla situazione politica e morale della giovanissima Italia. “Da Lui, amante di ogni arte, io debbo aver ereditato il coraggio e la necessità di esprimermi in lavori di pensiero.” Giunta a Roma da Firenze il 1872, a tre anni, frequenta poi un istituto di monache francesi.
Ancora adolescente, diventa “la piccola madre adottiva, a turno, dei figli di due mie sorelle maggiori, prolifiche in modo eccezionale. Però questo, che prendeva tutto il mio tempo, m’interessò molto e mi diede gioia.”
Generosa, sensibile alle richieste d’aiuto dei più deboli - e lo sarà per tutta la sua vita - di intelligenza viva e maturità precoce, dedica quel po’ di tempo che le rimane per sè allo studio della metrica e a scrivere il primo romanzo “Le reliquie di un ignoto” che vedrà molto più tardi le stampe.


Ponina, Milini e Teresa Tallone coi bimbi. Giardino di Alpignano, anni’20. Archivio Tallone

Vicina soprattutto alla sorella Eleonora, che mette al mondo un figlio all’anno, dal 1889 al 1899, Virginia frequenta l’amatissima avita casa di campagna ad Alpignano e l’ambiente artistico del cognato Cesare Tallone, nonchè quello del nascente movimento socialista bergamasco, un fondatore del quale fu l’ingegnere Guglielmo Davoglio, marito della sorella di Cesare Tallone Linda Maria. Naturalmente frequenta gli allievi di Tallone, e si innamora, ricambiata, di Giovanni Trussardi Volpi, che sarà, dopo la scuola alla Carrara, indirizzato dal suo maestro a Roma da Mancini. A Roma, nei primi ‘900 nell’atelier di Adalberto Cencetti e Giuseppe Trabacchi, esponenti tra i “XXV della Campagna Romana”, Virginia studia scultura. Lascia definitivamente Roma alla morte dei genitori, il 1904.
A Milano, dove la sorella Eleonora coi figli si trasferisce nel 1899, quando il marito Cesare Tallone vince la cattedra a Brera, Virginia frequenta l’ambiente della Unione Femminile Nazionale che si impegna per la difesa dell’infanzia e maternità, il diritto al voto, la protezione delle lavoratrici. Condivide gli ideali, in durevole amicizia, di altre donne impegnate nella stessa causa, Rosa Genoni, Maria Gioia, Vanna Piccini, Gigina Conti in Sioli Legnani, Leda Rafanelli e Paola Lombroso, quest’ultima, con la sorella Gina, già conoscente da antica data. La causa del pacifismo la condurrà più avanti ad attivarsi nell’ambiente internazionale della Lega Internazionale Femminile per la Pace e la Libertà (WILPF), della quale diviene delegata.

La sua prima passione, la poesia, vede pubblicato il primo frutto il 1905 nell’ “Ilustrazione Popolare” , l’anno del suo matrimonio. Virginia, detta “Virgo possidente nata a Firenze”, come si legge sul certificato di matrimonio, sposa a Milano il 6-3-1905, all’età di trentasei anni, il trentenne Antonio Piatti, ex allievo di Cesare Tallone a Brera.
Nove mesi e tre giorni dopo, nasce a Roma la figlia Rosabianca. Il 1907 e 1908 perde due bimbi in fasce. Il figlio Sanzio (Rori), nascerà a Milano il 17 luglio 1914, in una breve riconciliazione col marito, che aveva lasciato dopo la nascita e la morte del terzogenito di tre mesi, per inconciliabili ragioni di carattere.
Nelle riviste debutta, come poetessa, il 1910 in “Casa e Famiglia” con una poesia; il 1911 nell’Istituto Internazionale Monti di Alassio insegna disegno e lettere e, appena inaugurata la rivista di Alassio, “Al Mare”, vi pubblica una poesia omonima, alla quale segue una serie di poesie; sempre l’11 è in “Illustrazione Italiana” di Treves; il 1912 è pubblicata in “Varietas Casa e Famiglia”.
Dal 1912 al 1914 Virginia pubblica un racconto e raccolte di poesie nella rivista di cultura letteraria di Mario Novaro La Riviera Ligure, col quale tiene una interessante corrispondenza fino al 1918. (Fondazione Novaro)
Dal 1911 si firma con lo pseudonimo biblico Agar, paradigma dei pregiudizi della condizione femminile. Tra i nomi dei collaboratori prestigiosi della rivista, troviamo alcuni tra i frequentatori menzionati da Cesare Augusto Tallone nella Maison Rustique a Milano, casa di via Borgonuovo di Eleonora e Cesare Tallone: Clemente Rebora e Giovanni Titta Rosa.


Alassio, Istituto Monti. Milini Tallone (al cavalletto) con la zia Virginia (seduta).
Foto prov. Francesca Piatti

Il suo primo libro, scritto non ancora ventenne, ma dato alle stampe nel 1915 - anno in cui è “schedata” come antimilitarista - si intitola Le reliquie di un ignoto, una copia del quale reca la dedica autografa ad amici farmacisti e possidenti di Alpignano “Ai cari amici Grenni questo primo ingenuo libro. Agar”. Giovanni Boine recensisce il libretto nella sua rubrica critica “Zavorra” nella rivista La Riviera Ligure (n.58,1916) che aveva pubblicato anche Virginia, e riporta questi versi scritti in gioventù “così sinceramente dolorosi” che salva, preferendoli al libro:

S’io son caduta nell’abisso orrendo
de la sventura, se con le mie labbra
femminili e ridenti che avean tutte
per te le belle voci di passione
ho masticato, nauseabonda cicca,
l’assenzio velenoso del rancore,
non prender vanto amico…

Il tagliente e sarcastico Boine dice a proposito del libro: “ una specie di Jean Christophe legnaiolo della Campagna Romana”… “che si martirizza di fatica per i suoi in una vita di rinuncia e di bontà” Eppure quanta storia di Virginia in questa frase!. Il “protagonista” suo, risale al 1888, quindi nessuna copiatura, ma una condivisione di ideali umani che la porterà ad essere amica e corrispondente di Rolland. Nel giovanile libro “Le relique di un ignoto” affronta l’iniquità della disparità sociale, e non è indulgente verso la superficialità della giovane protagonista, nobile e ricca - che descrive così bene, da pensare ispirata a un modello reale del suo ambiente - che illude un poverissimo falegname dotato di uno straordinario talento musicale. “Il possibile artista”, la cui arte spontanea attira consensi e incoraggiamenti, ignora l’annunciato successo per generosità umana, per non abbandonare la famiglia da lui dipendente.
In quel suo “primo ingenuo libro”, si trovano i semi della futura donna, che saprà, come il protagonista della sua novella, rinunciare alla gloria dell’arte per incontrare la vita, più importante, più essenziale, più vera gloria, anche a costo di sopportare la dura repressione del regime. In un libro successivo troviamo una frase che riassume il suo credo: “...io sono troppo donna, ripeto, per mettere il sogno d’arte in prima linea dinanzi alla vita e alla creatura umana. Perciò, quanto alla gloria, oh, amica mia, ridiamone insieme!”.
A testimonianza delle sue scelte pacifiste, la prefazione del 1915 è di Rosalia Gwis Adami, anima del pacifismo giovanile italiano.
Virginia viene schedata per antimilitarismo proprio il 1915 per la sua eclatante arringa di accusa degli orrori della guerra, seguito dal gesto -vilipendio!- di gettare a terra la bandiera italiana di fronte alle autorità e reduci feriti, durante un convegno della Croce Rossa a Firenze. Il 1917 pubblica a puntate in “Rassegna Nazionale” Dal diario di un’infermiera, diario tenuto durante la sua esperienza come infermiera volontaria nella prima guerra mondiale. Ristampato come libro il 1919, apre con la frase “ Soyez la paix vivante, l’Antigone eternelle”, sintesi dell’appello alle donne di Romain Rolland, della primavera del 1915. Mi prendo la libertà di questa speculazione: a Roma Rolland era membro della scuola francese dal 1889 al 1891. Proveniva da una famiglia di notai, come i Tango, ed era appassionato di musica e enfant prodige in letteratura. Si laurea a Parigi nel 1895 e diventa professore di storia dell’arte alla Normale superiore e di storia della musica alla Sorbona e conquista il Nobel per la letteratura il 1915 col libro Au-dessus de la mêlée (Al di sopra della mischia) in cui esprime idee antimilitariste e il suo credo nella non violenza, principi per cui Virginia si batterà tutta la vita. Non è improbabile la loro conoscenza a Roma, dove risiedeva all’epoca Virginia, pianista precoce e amante della musica e dell’arte, e di madrelingua francese.
Tutti coloro che insieme a Rolland condividevano la libera espressione del pensiero, l’anelo alla libertà, l’amicizia tra i popoli, in Virginia trovavano un terreno propizio. Quanto a carattere, e immutata posizione pacifista, non tutti la seguirono.
Collabora con la rivista “La Difesa delle Lavoratrici” fondata dalla Kuliscioff e da Turati, con una poesia e un racconto, il 1916 e 1918.

 


Virginia Piatti Tango. Foto prov. Francesca Piatti

Del 1915 è il dramma “L’ispiratrice”, dato alle luci della ribalta il 1922.
Tra le molte traduzioni, nel 1920 pubblica la traduzione della tragedia “Giovanna d’Arco” di Schiller, nel 1921 la traduzione di “Racconti d’Italia” di Honorè de Balzac, sempre con lo pseudonimo Agar. Traduce, di Judith Gautier, “La conquista del paradiso” per le edizioni Monanni e le “Novelle polacche” di Choromanski. Scrive, per il Teatro Minimo di Roma, commedie per ragazzi, apprezzate da Roberto Bracco. Fu collaboratrice del Corriere dei Piccoli, in cui pubblicava racconti per l’infanzia. Appassionata di teatro e del suo ambiente, imparentata con l’artista drammatico Alessandro Cambie’, amica di Annibale Ninchi e Ofelia Mazzoni, frequentava tra altri Alfredo Cantini, noto interprete di Bracco, col quale condivideva l’orrore per la stretta mussoliniana alla libertà, particolarmente drastica il febbraio 1926, data della lettera in cui accenna al “ritiro in massa” (la censura era in agguato), probabilmente riferendosi all’atteggiamento dell’opposizione.
Collabora alla rivista “Almanacco della donna italiana” (1926,27,28,29 e 38) insieme ai nomi prestigiosi di Eugenio Montale e Ada Negri, frequentatori della Maison Rustique a Milano e Matilde Serao, amica di gioventù di Eleonora e Virginia a Roma.
Scrive alcuni romanzi per bambini per la Collana di Zia Mariù, edita dal 1925 da Paravia e diretta dalla figlia di Cesare Lombroso, la studiosa della psiche infantile Paola Lombroso. Prolifica giornalista, era collaboratrice del giornale fiorentino “Il nuovo giornale” e impegnata nella stampa pacifista internazionale. Collabora anche con i giornali Noi e Il mondo, La Lettura, IL lavoro, La vita Internazionale, ecc.
Fu socia del Lyceum Club Internazionale di Firenze dal 1913 al 1926, la prima straordinaria istituzione femminile italiana, fondata dopo i Lyceum di Londra, Berlino e Parigi, da Mrs. Constance Smedley. Nonostante per costituzione si evitasse l’aspetto polemico e ideologico, non mettendo mai in dubbio i valori sociali tradizionali, la nuova istituzione era “un vero e proprio terremoto che andava a perturbare l’ordine costituito”, avendo per finalità l’acquisizione di una identità civile e culturale della donna (Lyceum Club internazionale di Firenze 1908-2008, ed. Polistampa, a cura di Mirka Sandiford, introduzione di Maria Grazia Beverini Del Santo)
Il 1914, l’anno della nascita del figlio, si attiva anche nel Lyceum di Milano.
Nel vivace ambiente del Lyceum fiorentino conosce e stringe amicizia con Amelia Rosselli e reincontra l’amica di vecchia data Gina Ferrero Lombroso.
Attraverso la corrispondenza, se pur non voluminosa, si può ricostruire parzialmente la sua attività e il rapporto con alcuni ospiti del Club fiorentino, mentre le lettere delle consocie “liceiste” Marietta Selvi Roster, Sofia Ciofi Jacometti, Maria Fasola, Silvia Bemporad, brillano quali preziose testimonianze dello spirito del Lyceum, di quella perfetta solidarietà femminile coniugata con la curiosità intelligente, ricettiva ad ogni stimolo culturale. (Lettera M.S.Roster 30-4-1913; 2 cart. Ciofi Jacometti 1917; lettera Bemporad s.d.; lettera Fasola 28-2-1919. Archivio Tallone).
Il ’13 Agar-Virginia è cofondatrice della rivista letteraria femminile fiorentina “La piccola fonte” che ebbe vita solo sei mesi e collaboratrice fissa del “Buon Consigliere” di Roma. Pubblica novelle nella “Bibliotechina Minerva” di Cecilia Deni.

 

Dino Campana e Sibilla Aleramo. Agar e i Tallone, testimoni dell’epilogo di una grande passione.

 


Dedica di Campana a Virginia Piatti Tango nel libro delle firme e delle dediche di Virginia, 1917. Prov. Enrico Tallone

L’incontro di Virginia Piatti Tango con il poeta Dino Campana merita una più ampia esposizione in una sede separata, ma devo qui accennare un episodio che ancora una volta fa risaltare la sua grande umanità.
Amica intima di Eleonora Tango Tallone e i suoi figli, in particolare di Teresa e di Cesarino che è ospite della zia Virgo a Firenze, Sibilla Aleramo, probabilmente su suggerimento di Eleonora, si rivolge alla sorella per affidarle il delicato incarico di prendersi cura di Campana, dal quale si era allontanata dopo il burrascoso epilogo della loro breve e passionale storia.
La prima persona che Campana incontra a Firenze al ritorno da Rubiana è Virginia: un biglietto (senza data), della fine d’aprile 1917, indirizzato a Sibilla, reca in calce il suo recapito, cioè l’indirizzo di Virginia, “via della Fornace 9 (presso Piatti) Firenze”, in una busta intestata Lyceum, del quale era socia Virginia. (Sibilla Aleramo e Dino Campana “Un viaggio chiamato amore, lettere 1916 – 1918”, a cura di Bruna Conti, Feltrinelli, prima edizione 2000)
Dalla corrispondenza della mia famiglia a Sibilla Aleramo, conservata nell’Archivio Sibilla Aleramo della Fondazione Istituto Gramsci Onlus di Roma, ho notizia di un incontro di Virginia con Sibilla dei primi giorni di aprile. (2-4-17 cartolina di Agar a Sibilla Aleramo, da Firenze a Firenze, senza indirizzo, Fond. Gramsci, Roma, inedita)
Anche Matilde Marfori invia a Sibilla una lettera nel mese d’aprile, senza giorno, e riferisce parole di Virginia “…Domenica sera avendo io mandato a mano alla sig.ra Piatti la tua lettera per C. questa mi ha risposto per dire che l’avrebbe consegnata al più presto. Intanto aggiungeva: “ il C. è calmo e mi ha espresso il desiderio di rimettersi a lavorare e rifare la vita…” (4-1917 senza giorno e indirizzo, lettera di Matilde Marfori a Sibilla Aleramo da Firenze. Fond.Gramsci, Roma; pubblicata parzialmente in “Un viaggio chiamato amore”, cit. )
Matilde Marfori scrive ancora una lettera all’amica Sibilla il 6 maggio, dove le riporta le parole della lettera a lei inviata dalla signora Piatti, in cui dice di aver visto Campana lo stesso giorno, che gli sembra più calmo e che gli ha trovato un alloggio, perché aveva espresso il desiderio di fermarsi, “da una buona donna di un paese, presso Marradi in una casa tranquilla qui vicina”, aggiungendo che si augura che guarisca “dalla sua ossessione tornando al buon lavoro, dando alla vita uno scopo!!”. (6-5-1917 Lettera di Matilde Marfori da Firenze Montughi a Sibilla Aleramo Hotel Manin via Manin Milano. Fond. Gramsci, Roma, inedita).
La prima lettera a Sibilla in cui Virginia nomina Campana è del 6 maggio 1917, dove si firma Virginia Piatti Tango: “…Mi pare che sentirei rimorso se non Le facessi pervenire una parola mia, avendo avuto qui per qualche ora come ospite e confidente Dino Campana. Voglio dirle che sia tranquilla per lui (so bene che deve esservi nel suo cuore un senso di accorata ansia materna per questo povero sperduto bambino di genio) Mi accorgo che Egli va persuadendosi all’idea del distacco, facendo propositi buoni per dare di lontano, a sua volta, la tranquilità a Lei, povera signora…” Aggiunge che alloggia vicino a lei “in casa di gente semplice del suo paese”, che crede che l’indomani andrà a Lastra Signa da sua madre, dalla quale ha ricevuto una lettera lo stesso giorno 6 in cui scrive, le raccomanda di stare tranquilla e lavorare, le chiede se può fare ancora qualcosa per lei e le manda un bacio anche da parte del figlio Rori. (6-5-1917 lettera di Virginia Piatti Tango intestata Lyceum di Firenze via Ricasoli 28 a Sibilla Aleramo senza indirizzo. Fond. Gramsci Roma, inedita)
Ne deduco che Campana sia andato a vivere vicino alla casa di Virginia di via della Fornace, una bella zona verde e tranquilla, a un passo da Lungarno Benvenuto Cellini.
La seconda lettera di Virginia, ancora intestata Lyceum Firenze, di risposta a una missiva di Sibilla, firmata Agar, è del 19 maggio1917:
“… Credo però ora che debba farle del bene al cuore il sapere che il Campana, benchè abbia dei momenti di profonda melanconia, si adatta a vivere e va gradatamente migliorando. Andò per qualche giorno dai suoi; tornato, vive sempre nella stessa casa, fra gente semplice, romagnoli, e si trova bene…” Aggiunge anche che Campana si reca spesso da lei di mattina, e si diverte a dare lezione di latino alla figlia Rosabianca “ciò che mi fa piacere, anche perché credo che presto potrà rimettersi al lavoro”. La informa che Campana, allo scadere del mese nella casa di Firenze, dove Virginia gli ha procurato alloggio, presto partirà “perché sui suoi monti, ha spese minori” [Rubiana].
Le riferisce anche che ha cercato di fargli avere qualche traduzione. E conclude affabilmente “Capisco anch’io che questo povero giovane non dev’esser fatto per far vivere in pace la donna che ama. Che il bene sia con lei, Sibilla; e grazie per la missione fraterna che mi affida”. (19-5-1917 lettera di Agar (Virginia Piatti Tango), intestata Lyceum di Firenze via Ricasoli 28 a Sibilla Aleramo via Manin Milano. Fond. Gramsci Roma, inedita)

Campana in questi giorni scrive una dedica a Virginia nel suo libro delle firme e dediche: “a Virgina Ma lei, signora ha dell’ingegno, peccato che non se ne ricordi mai. Dino Campana. Firenze 1917”
Il testo, per chi non conoscesse Virgina, potrebbe sembrare irriverente, mentre la genialità di Campana coglie in pieno nel segno, Virginia è donna d’ingegno, ma al suo ingegno rinuncia per l’enorme generosità e sensibilità umana, per cause ideali che le sembrano più importanti.
Dal tono delle lettere di altri intimi amici di Sibilla - che riportano puntualmente a Sibilla notizie della “Piatti”- sale un coro di totale appoggio alla scelta di lei, e di stigmatizzazione del comportamento di Campana, mentre dalle lettere delle due sorelle Virginia e Eleonora si legge un’affettuosa simpatia per quel giovane e geniale poeta. Eleonora giunge a un raffreddamento con Sibilla, credendo che il rapporto con Campana potesse essere rinsaldato, e offrendosi di andare ad accogliere Campana arrestato a Novara, cosa della quale le chiede scusa il 15 settembre “ Sibilla, oggi è stata proprio umiltà. Non ho osato ripetere l’offerta di essere la prima ad accogliere quel piangente a Novara. …i cozzi delle idee in confusione - sono buoni per le scintille - mi facevano credere coma mai prima, te e quel poeta. Sibilla, non dubitare di me. Ti voglio molto bene Eleonora” (15-9-1917 lettera da Milano di Eleonora Tallone a Sibilla Aleramo, indirizzata alla figlia Teresa a Tornate Travedona. Fond. Gramsci, Roma, inedita)

ELISA ALBANO E DINO CAMPANA ALLA GRANVIGNA



Elisa Albano, fine anni’50. Foto prov. Aurora Ciliberti

Durante la permanenza a Rubiana, iniziata verso il 10 giugno, dopo un breve soggiorno a Marradi, Campana si reca spesso in visita nella tenuta “Granvigna” di Elisa Albano ad Almese, amica carissima delle sorelle Tango. In una cartolina da Almese del 31 luglio 1917 a Virginia, Elisa scrive “Abbiamo visto il sig Campana più volte. Povero uomo! Così privo di forza, così schiantato…” (Archivio Tallone, inedita)
E altamente probabile però che Campana fosse stato ospite precedentemente per un periodo piuttosto lungo alla Granvigna, nello spazio di tempo tra fine gennaio e fine aprile, periodo in cui si trova a Rubiana, paese da lui già frequentato in passato e a breve distanza da Almese. Nell’intervista della Wygod ad Elisa Albano in avanzata età, si legge che il soggiorno di Campana “una breve vacanza” era avvenuto “poco dopo la rottura con la Aleramo”, e che era arrivato alla tenuta “accompagnato da amici comuni”. (Gabriel Cacho Millet in Dino Campana, "Le mie lettere sono fatte per essere bruciate", All'Insegna del Pesce d'oro, Milano, 1978)
Soffici invece, che raccoglie le parole di Campana a Firenze alla trattoria del Lido insieme ad Agnoletti, dice d’essersi trattato di un periodo piuttosto lungo, senza alcun riferimento alla data. (cfr. A.Soffici, Lettere inedite di Dino Campana, Corriere d’Informazione 28-29 luglio 1958; Gabriel Cacho Millet in Dino Campana, "Le mie lettere sono fatte per essere bruciate", cit.)
L’episodio dell’incontro di Soffici e Campana a Firenze, a mio parere, insieme alle parole di Elisa Albano che parla della vacanza di Campana avvenuta “poco dopo la rottura con la Aleramo”, appoggia la tesi della permanenza in Granvigna nella prima parte dell’anno 1917, essendo, al suo ritorno, il tempo trascorso a Firenze sufficiente, e forse il suo stato d’animo più sereno, tutto maggio e parte di giugno, per quel racconto esilarante che fa Campana del suo soggiorno in Piemonte, approdato in casa di due vecchie signore, “poeta esperto in cose agricole”, racconto nel quale si riconosce chiaramente la descrizione della permanenza alla Granvigna, mentre alla fine della seconda permanenza a Rubiana, il 10 agosto Campana è a Marradi; abbiamo poi una lettera di Matilde Marfori del 6 settembre che dice “C. è andato a stare dal Fratini!”: quindi solo per pochi giorni, prima di partire per Novara, deve essere passato da Firenze. Dopo il suo arresto a Novara dell’11, il 13 la Marfori lo segnala Firenze. (6-9-1917 lettera di Matilde Marfori a Sibilla Aleramo per Ca’ di Janzo, Varallo Novara; 13-9-1917 lettera di Matilde Marfori a Sibilla Aleramo via Manin Milano. Fondazione Gramsci Roma, inedite)
Probabilmente Campana era di passaggio per Marradi, dove si trova il 14 col foglio di via.



Teresa Tallone nello studio del padre di C. Garibaldi, foto scattata da Emilio Sommariva, 1911. Biblioteca Braidense, Milano.

L’epilogo della tribulata relazione di Sibilla con Campana, dopo l’incontro al carcere di Novara, per lei drammatico e fatale per il poeta, si chiude, come si è aperto, cercando consolazione presso la mia famiglia. Tra il 14 al 21 settembre Sibilla si reca a Travedona, paese della famiglia di Enrico Somarè, allora soldato, fidanzato di Teresa Tallone.
Il 13-9-1917 Teresa le scrive da Tornate Varano Travedona (lettera a Sibilla Aleramo Hotel Manin Via Manin Milano. Fond. Gramsci, Roma, inedita)
“Sibilla, vieni subito. Così troverai un po’ di vento. Ponina e io ti veniamo incontro. Teresa. Puoi partire alle 5,50 e arrivare a Tornate Varano.”
Sibilla riceve poi da Milano una lettera di Eleonora per lei indirizzata alla figlia Teresa il 15 settembre a Tornate Travedona; il 21 settembre Ponina Tallone le scrive da Travedona a Milano, via Manin “Cara Sibilla doveva rimanere a Travedona ancora un giorno…” (Fond. Gramsci, inedite)
Qui devo dedicare qualche parola a Elisa Albano che non era affatto una vecchietta, avendo 38 anni il 1917. In effetti il suo portamento e abbigliamento erano piuttosto severi. La ricordo benissimo, e mai ho visto, dalla mia infanzia alla giovinezza, la Granvigna senza ospiti. Era affabile e colta, intelligente e curiosa di ogni novità nell’arte e letteratura, si occupava anche di giornalismo e amava circondarsi di amici artisti e intellettuali. Non era difficile immaginarla da giovane, guardando i suoi begli occhi luminosi e i lineamenti delicati. Cesarino Tallone la chiamava Minossa, perché “distruggeva tutti i suoi sogni”.
L’anno della visita di Campana, il 1917, viveva con la madre Elvina Gallenga, mentre il padre, l’avvocato Aureliano Albano - amatissimo da Virginia Tango - era morto il 1908. Vivevano a Roma nella stessa via Cavour in cui abitava la famiglia Tango, per poi stabilirsi, dopo la grande guerra, in via Morgagni.
Da sempre, dalle festività di Pasqua ad autunno inoltrato, si spostavano nella tenuta Granvigna, podere in comune di Almese acquistato dal nonno paterno intorno al 1850. Come per i Tallone ad Alpignano, durante la guerra si faceva talvolta eccezione ed è possibile che Elisa e la madre Elvina vi abbiano trascorso alcuni mesi invernali.
Gli amici e frequentatori del ’17, insieme ai Tallone, erano i Siotto Pintor, cugini fiorentini di Elisa, imparentati coi Boerio di Torino, il padre Cesare noto insegnante di pianoforte, Eleonora Boerio pianista e il fratello Riccardo violinista; la parente Maria Monaci-Gallenga, un personaggio nell'ambiente artistico romano e italiano di prima linea, imprenditrice, talentscout, artista di gran successo nell'arte "applicata", amica e propagandista degli artisti dell'epoca (Zecchin, Sartorio, Gambellotti, Girardi, Prini, etc). Mancava solo la zia Zè (Luigia), sorella del padre di Elisa, morta il 1913, che a settant’anni aveva studiato svedese ed era diventata una nota traduttrice.
(Ringrazio Marco della Chiesa d’Isasca, nipote di Elisa Albano)



Cesarino Tallone ritratto da Zygmunt Perkowicz, 1915. Dono all’Archivio Tallone di
Marco della Chiesa d’Isasca

Forse lo stesso Cesarino, di casa alla Granvigna dall’infanzia, e a Firenze dalla zia a dicembre, avrà accolto o magari suggerito l’idea a Sibilla, decisa a rompere il tribulato rapporto, ma non di abbandonare a sè stesso quell’uomo così fragile di nervi, di presentare Campana agli Albano, vista anche la vicinanza di Rubiana e Almese.
Gli amici comuni di cui parla Elisa Albano non possono essere che i Tallone, che avevano la casa-tenuta in Alpignano, paese vicinissimo ad Almese.
Dal numero delle lettere e il loro contenuto risalta il reciproco legame intimo e affettuoso tra la mia famiglia e Sibilla Aleramo.
E poichè solo le date delle lettere a Sibilla possono orrizzontarci, riporto che i Tallone sono sicuramente ad Alpignano l’8 gennaio 1917 (lettera a Sibilla Aleramo a Lungarno Acciaioli, 24 Firenze, Fond. Gramsci Roma, inedita) ma non sappiamo per quanto tempo vi restano. il 31 gennaio abbiamo Eleonora e Cesarino che spediscono insieme due lettere, benchè sia propensa a pensare che sia scritta ad Alpignano, manca la certezza perché non vi è l’indirizzo. Non abbiamo lettere del mese di febbraio, mentre il 2 e il 3 marzo scrivono da Milano. Nella lettera del 18 marzo, sempre da Milano, dicono di tornare ad Alpignano ad aprile inoltrato, quando Cesarino avrà passato la visita militare. (31-1-17 lettera di Eleonora e Cesarino Tallone, senza indirizzo a Sibilla Aleramo [Firenze];2,3,18 marzo a Lungarno Acciaioli,24 presso Fratini Firenze, Fond. Gramsci, Roma, inedite).
Il 2 aprile, Agar scrive una cartolina a Sibilla Aleramo in cui dice “Non ho notizie di Cesarino” (da Firenze a Firenze, senza indirizzo, cit., Fond. Gramsci, Roma, inedita)
Il ritorno a Firenze di Campana avviene alla fine di Aprile 1917 e, come abbiamo visto, il biglietto (senza data) a Sibilla reca in calce il recapito di Virginia, “via della Fornace 9 (presso Piatti) Firenze”, in una busta intestata Lyceum. (Un viaggio chiamato amore, cit.)
Il tenore delle lettere di Sibilla, in fuga da Campana, di quel fatidico dicembre 1916, doveva essere allarmante, tanto da far temere un gesto inconsulto. Eleonora le invia da Milano una lettera l’11, Teresa un telegramma e una lettera il 12 e ancora una lettera da Travedona il 15, tutta la corrispondenza a Pensione Minerva Sorrento. (Fond Gramsci, inedite)
Il 19 dicembre Eleonora promette a Sibilla che Teresa l’avrebbe presto raggiunta a Firenze, ma una fatale disgrazia si era abbattuta sulla famiglia, colpita dalla notizia della morte per suicidio del giovane di nobile origine polacca Zygmunt Perkowicz, nato in Russia il 23 agosto 1890 a Bialocerkien (Kiev), sospetto all’autorità per l’appoggio all’indipendenza dell’Ucraina, violinista, scultore e pittore di forte talento artistico, cosacco suo malgrado, fuggito dalla Russia il 1912 e accolto nel seno della famiglia per lungo tempo, come un figlio, come un fratello…e innamorato ricambiato di Milini Tallone. Teresa aveva dovuto portare a Travedona la sorella in pianto. La notizia ferale arriva ai Tallone tra il 12 e il 15 dicembre e raggiunge Cesarino a Firenze.
“…Ecco: mentre Teresa era tanto in ansia per lei, era colpito da esaltazione e da delirio - e ne è morto - un povero giovane caro a noi tutti e amato dalla mia Milini. Lontano - nella Polonia - la madre che forse ancora non sa…
Su noi anche il rimorso dolorosissimo di non avere tentato ciò che si poteva a proteggere, a calmare, a salvare l’essere sperduto e, di conseguenza, un desiderio acuto di fare per Sibilla. Creatura più forte e di più alto valore Sibilla, ma forse lei pure sbattuta in un travolgente dolore…”
(19-12-1916 Lettera [da Milano] di Eleonora Tallone a Sibilla Aleramo [Firenze]. Fondazione Gramsci Roma, inedita)



Zygmunt Perkowicz. Foto dedicata da Maria Boerio a Eleonora Tallone. Prov Aurora Ciliberti

Questo episodio, degno di più ampio spazio, segnalo qui per una curiosa quanto poetica relazione a distanza tra il “povero” Perkowicz e Campana. In una lettera a Elisa Albano da Lastra a Signa, della vigilia di Natale 1917, Campana conclude così:
Signorina, io che vivo in un cantante e fischiante paesino toscano le invidio ora il silenzio della Gran Vigna. Accetterei di andarle a custodire la casa se mi facessero una provvista di legna e cancellassero tutte le traccie sui muri. Inoltre vorrei assumere la direzione dei lavori e non ricevere chi non mi piace.
Tanti auguri per il Natale anche alla Signora Sua Mamma e mi creda con viva stima suo devotissimo Dino Campana (G.C. Millet, “Le mie lettere sono fatte per essere bruciate”,1978 cit.)

Naturalmente devo qui riconoscere tutta l’autorità e la passione di Gabriel Cacho Millet, cultore di Campana, che ha scoperto, all’interno di una lettera di Campana a Carlo Carrà, alcune parole rimaste nella brutta copia della lettera ad Elisa Albano, riciclata per l’amico. Qui, con l’attenzione di un entomologo, Millet scopre tra le cancellature una frase compiuta ma di senso misterioso “accetterei di andarla a costudire se mi facessero una provvista di legna e cancellassero i disegni del povero P…” (G. C. Millet, “Le mie lettere sono fatte per essere bruciate”, 1978)
A me è sufficiente la soddisfazione di aver illuminato una piccolissima pagina della vita del grande poeta Dino Campana. Mi è bastata questa frase per riconoscere nel povero P, in quel cognome tracciato in modo illeggibile, Zygmunt Perkowicz, l’amico dei Tallone morto tragicamente nel manicomio di Mombello, dopo un breve periodo di grave turbamento psichico, il 6 dicembre 1916, che aveva trascorso l’agosto del ’15 con Cesarino Tallone alla Granvigna per risistemare il terreno intorno alla casa, in assenza di braccia a causa della guerra. E la Granvigna frequentava da tempo e ancora in molte occasioni successive, con la famiglia Tallone, ormai divenuta anche la sua famiglia.


Cesarino Tallone in piedi e Zygmunt Perkowicz, Granvigna agosto 1915. Foto prov. Marco della Chiesa d’Isasca

Il russo-ucraino Zygmunt Perkowicz, che riempiva i suoi taccuini di riflessioni filosofiche e disegnava instancabilmente, violinista, pittore, morto in manicomio, si sovrappone in rara e straordinaria coincidenza al “russo” dei Canti Orfici di Campana.
Forse per scaramanzia, più che per gusto estetico, Campana voleva che fossero cancellate le “traccie” o i “disegni” del povero P.
Gli affreschi di Zygmunt sul muro della Granvigna erano ancora visibili nei primi ’60, prima della vendita della casa.
Il nipote di Elisa Albano, caro amico di antica data, Marco della Chiesa d’Isasca, musicista, docente al conservatorio di S.Cecilia della direzione d’orchestra, mi ha inviato le foto sbiadite delle “traccie sui muri”, ossia i ritratti di contadini dipinti sui muri della casa della Granvigna, insieme a schizzi a matita originali di Zygmunt Perkowicz, di sicura mano espressiva.



Affreschi di Zygmunt sul muro della Granvigna. Foto prov. Marco della Chiesa d’Isasca

Il WILPF

Virginia Tango Piatti si reca a Washington il maggio 1924 come delegata italiana WILPF (Lega Internazionale delle donne per la Pace e la Libertà), in sostituzione della prof. Ida Vassalini del gruppo di Milano, malata e impossibilitata ad affrontare il lungo viaggio.
La casa fiorentina di Virginia di via della Fornace 9, frequentata da intellettuali e artisti e definita da un amico “la casa dell’utopia”, era stata perquisita il gennaio dello stesso anno, e vi furono sequestrati opuscoli di “Pax International”, la editrice del WILPF. Riesce, nonostante sia sotto stretta osservazione della polizia politica, a lasciare l’Italia, affidando il figlio decenne al direttore del collegio Domengè-Rossi.
Nel libro “Report of the fourth congress Women’s International League for Peace and Freedom, Pax, english edition, 1924”, sono riportati gli interventi delle prestigiose delegate provenienti dall’Europa, Giappone, Stati Uniti, e Italia, sotto l’egida della presidente internazionale Jane Addams. Virginia promette, al ritorno in patria, di pubblicare articoli sull’esito del congresso: “I shall express in public lectures the voice of this noble congress”. Manterrà la parola con gli articoli pubblicati in La Vita internazionale del 25 dicembre 1924 “Echi dell’ultimo congresso femminile per la pace a Washington” e nel Nuovo Giornale del 20 agosto 1924, intitolato “L’America e il problema dei negri”.

Virginia viene eletta, nel corso del congresso, membro della commissione della stampa internazionale. (Report... Washington 1 to 7, 1924, Pax Eglish Ed., cit )



La delegata italiana Virginia Piatti Tango nella foto “European and American Delegates in front of the Union Station Washington”
Dal libro Report of the fourth Congress of the Women’s International League for Peace and Freedom, Washington May 1 to 7, Pax English Edition.
Foto segnata con la sua calligrafia
(Copia prov. famiglia Piatti)

Dalle interessantissime lettere inedite di Agar, che ho in corso di studio ora, a Gina Ferrero Lombroso, vengo a conoscenza della partecipazione come unica delegata italiana anche al congresso di Dublino del 1926, dove si reca, partendo da Milano il 5 luglio, pur non avendo il passaporto in regola. (5-7-1926 lettera di Agar da Milano a Gina Lombroso Ferrero, Viale Machiavelli,7. Archivio Contemporaneo Gabinetto G.P. Vieusseux, inedita)
Nel 1927 il comitato esecutivo WILPF comunica per lettera a Virginia Tango Piatti che è stata scelta per rappresentare la Lega alla Bourneville Works Council, per una conferenza internazionale sull’editoria relativa alle pubblicazioni pacifiste. Le autorità fasciste le ritirano però il passaporto impedendole di recarsi a Londra. (Archivio Università del Colorado, dr. David Hays)
Già dal 1926, sconvolta dalla persecuzione fascista, fu costretta a lasciare Firenze. Si divide tra Sanremo, e, nelle case del marito, tra Milano e Viggiù. Madre di due figli amatissimi, e con gravi problemi di incomprensione col marito “fascistissimo” ed egoista, pittore affermato anche economicamente ma avaro, dal quale lei - separata prima del ’10, ma non legalmente - accorreva ogni volta che lui la chiamava per assisterlo, dileggiata in ogni modo, costretta a sostituire le domestiche che fuggivano dopo pochi giorni. Mite per amor dei figli, usava i suoi esigui risparmi e si obbligava a levarsi prima dell’alba per lavorare ai suoi scritti e alle traduzioni. E, in queste condizioni, perseverò a combattere per i suoi principi, continuando la sua attività letteraria e di giornalista, sempre più difficile e limitata per il regime fascista, e prendendo lezioni per prefezionare l’inglese, che le era utile nell’ambiente internazionale che frequentava come delegata WILPF. (lettere a Gina Ferrero Lombroso, Archivio Contemporneo G.P.Vieusseux)
Aiutata, consolata e assistita dalla “cara e dolce amica” Gina Ferrero, dalla quale è spesso invitata all’Ulivello, scrive articoli, invia novelle ad una rivista di Zurigo “Semi di bene” e cura una collana di storie di donne “Vite Vere”, per Zanichelli: la sua, quella di Felicie Poznanska, Leda Rafanelli ed altre. (notizia questa, recentissima, tratta dalle lettere a Gina Ferrero e dal libro della figlia di Felicie Cendrars, Miriam, che dovrà corredarsi con successive ricerche. Miriam Cendrars, Blaise Cendrars, Balland 1984).
Sempre attiva, pur limitata dalla contingenza, continua i rapporti con le delegate WILPF. In occasione di un incontro con la delegata danese madame de Cederfeld, si reca dal prof. Ugo Guido Mondolfo, noto per antifascismo, che la presenta a Guido Lodovico Luzzatto, per una ricerca sulle minoranze tedesche dell’Alto Adige. Di Luzzatto ha un’impressione felicissima “fervido giovane italiano assetato di giustizia”e lo raccomanda a Gina Ferrero, perché, secondo lei, è degno del figlio Leo (3-12-25 lettera da Milano via San Marco a Illustre signora Gina Ferrero Lombroso, viale Macchiavelli,7 Firenze. Archivio Contemporaneo Gabinetto G.P.Vieusseux, inedita)

L’iscrizione alla rubrica di frontiera e la fuga a Parigi
I “ FROM” e Roberto Bracco

Fu iscritta dal dicembre 1928 al 1943 come sovversiva antifascista nel Casellario Politico Centrale del Ministero degli Interni, in cui si segnala “iscritta alla rubrica di frontiera radiata”. Era una delle tre possidenti, tra le 517 sovversive toscane. Non le viene imputato alcun legame diretto coi partiti, ma di propaganda e di sentimenti comunisti e antifascisti, di relazioni epistolari coi capi del partito comunista e attività pacifista antimilitarista, e , a Parigi, di collaborazione con “Giustizia e Libertà”.
A Sanremo, prima ospite della sorella Antonietta Poggi, in Strada Duca degli Abruzzi, poi stabilita nella casa di via Cavallotti 84 dal 1928, anche grazie al primo premio vinto al concorso letterario della rivista “Il Carroccio” di New York, con la novella “Nazarena”, il 1927 allaccia nella città dei fiori una profonda amicizia con i “FROM”, Felicie Poznanska, detta Felah, professeur de langues modernes, moglie separata del poeta Frederic Sauser (Blaise Cendrars), anche lei in sospetto di antifascista, e coi suoi figli Remy, Odilon e Miriam. Virginia fu “une soeur vraimant pour Felà” come scrisse la figlia Miriam Gilou Cendrars, che ad Agar, ancor oggi, anno del Signore 2009, tributa questi meriti: “les trésors que Agar m'a fait découvrir: sensibilité, prise de conscience de la condition humaine, goût pour la lecture, l'écriture et les arts, et par dessus tout la recherche de la paix réelle et la liberté dans la Vérité.”
Iscrive il figlio Rori al liceo di Nizza, per terminare gli studi, il settembre del 1931, evitandogli così il servizio militare e “di non morire eroicamente in Russia”.
Da Sanremo Agar-Virginia fugge a Parigi alla fine ottobre del 1933, dopo una breve sosta a Torino presso il prof. Carrara, marito di Paola Lombroso, dove Gina Ferrero le consegna i manoscritti del figlio Leo, affidandole la sistemazione, mentre il figlio la raggiungerà da Nizza, appena conquistato il bacaloreat il 15 ottobre 1933 . Gina Ferrero le cede in affitto lo studio parigino di via Lhomond 35 del figlio Leo, morto in un tragico incidente a Santa Fè in Argentina, dove Agar e il figlio Rori sono raggiunti da Remy e Miriam Cendrars il gennaio del 1934. (Miriam Cendrars, Blaise Cendrars, Balland 1984; Lettere a Gina Ferrero, Arch. G.P.Vieusseux; corrispondenza Agar-Bracco, ACS)
Cerca in tutti i modi, cominciando da prima della sua fuga da Sanremo e continuando da Parigi, attraverso una fitta e affettuosa (e interessantissima) corrispondenza, di convincere il lontano parente Roberto Bracco e la sua compagna Laura a stabilirsi a Parigi, suggerendogli strategie e consigli per l’espatrio, e incautamente riferendogli ogni sua mossa, la qual cosa non sarà ignorata dall’occhiuta polizia politica che controllerà ambedue, in Italia e oltr’alpe. Bracco, stanco e ammalato, non aveva avuto cuore di spostarsi da Napoli e talvolta la rimprovera per l’insistenza, ma sapendo bene di non poter fermare la sua energica e generosa amica, l’unica che gli stia accanto nel vuoto creato dalla sua intransigenza intellettuale, non può far a meno di elogiarla “Voi - per un eccesso di modestia - (la modestia in voi è un vero difetto, una vera deficienza) - avete rifiutato di comparire come collaboratrice. Certo, sarebbe stato simpatico d’afficher la collaborazione se potevamo pubblicare un intero volume fatto…a quattro mani.”(13-3-36 lettera di Roberto Bracco da Napoli a Madame Virginia Piatti Tango Parigi. A.C.S.)
Virginia lo fa contattare dallo scrittore ebreo tedesco, suo amico e militante a Parigi in G.L. col figlio Rori, Fritz Bondy, che era stato condirettore del teatro di Praga e lo incita a ristampare la tragedia “I pazzi”, prodigandosi presso Pitoeff.
L’indomita Virginia a Parigi conduce attività di appoggio e propaganda alla causa di Carlo Rosselli, di cui diviene recapito parigino insieme al figlio Rori (Pio Vincenzo Sanzio Piatti), studente alla Sorbona di ingegneria aeronautica e militante di Giustizia e Libertà.
A Parigi Virginia collabora con riviste italiane, collaborazione talvolta sospesa per intervento della polizia politica fascista. Corregge le bozze dell’antologia victorughiana per l’Esame di Enrico Somarè, marito della nipote Teresa Tallone; pubblica per Gauthier Languereux novelle e commedie per bambini e ristampa in francese altri libri già pubblicati in Italia, propone a Bracco di tradurre e pubblicare piccole novelle. Diventa “ecrivain francaise ufficiale”, e si occupa anche di cinema. (7-12-38 lettera da Rue Lhomond 35 Parigi a Roberto Bracco Via Crispi, 116 Napoli. ACS cpc. 23120. prot. 017256)

Il ritorno in patria e la chiusura del cerchio

Lascia Parigi il 22 maggio del 1939, con l’intenzione di farvi ritorno, ma il 23 giugno a Domodossola le impediscono l’espatrio, perché la data di nascita era stata alterata di 20 anni, in meno, s’intende! Povera cara fortissima zia Virgo, questa sola debolezza, lei dice vanità femminile, le è costata cara. IL 12 maggio 1940 fa una petizione presso il Consolato di Roma, dopo un breve viaggio a casa della sua amica Elisa Albano, “per poter tornare a Parigi dove ho residenza da vari anni, 35, rue Lhomond-Veme.” Chiede di poter tornare nella sua casa incostudita, al suo lavoro e tutti i suoi interessi che aveva lasciato “per un brevissimo viaggio il 22 maggio 1939”. A niente serve, e resta quindi in Italia, per lo più ad Alpignano nella casa dei figli della sorella Eleonora, mancata il 26 aprile del 1938. (Lettera 12 maggio 1940 da Alpignano, ACS, cpc 23120 n.43492/23120)
Unica sopravvissuta del bombardamento americano del 4 febbraio 1943 ad Alpignano, nella stessa cantina dove trovano la morte la nipote Milini e la figlia Allegra e altre otto persone, Virginia, alla giovane età di 74 anni, e superstite miracolata - tre giorni sepolta dalle macerie, ai piedi delle scale dove la volta resse, lì da poco sistemata su uno scalino, per scrivere - non si dimentica la sua fede antifascista, e a Torino subisce l’arresto: “È stata arrestata il 25 maggio per correità nella diffusione di manifestini di “Italia libera”, e tradotta Firenze a disposizione di quella R. questura.” (cpc. n. 23120, prot. 011273, ACS).
Virginia scrive a Gina Ferrero il 12-8-43, da Alpignano, dove è sempre controllata a vista, descrivendo così l’episodio, senza addentrarsi in particolari: “ho avuto un’altra avventura penosa, dal 24 maggio, e terminata il 27 luglio. Non potrei perciò più scrivere. Gliela racconterò, spero presto, riabbracciandola…”. Sconta la sua pena alle Mantellate di Firenze. Il 21 novembre è giunta da un giorno nel campo internati civili di Grovio, Monte Generoso, dove incontra Livietta Battisti, cara amica sua e intima della nipote Milini Tallone e la figlia Allegra, moglie e figlia di Oreste Ferrari “era tanto amica delle nostre due povere morte nel disastro di Alpignano!” (12-8-43 da Alpignano cartolina postale a Madame Gina Ferrero 4 rue Senebier Geneve (Suisse); 21-11-43 lettera a Gina Ferrero Lombroso, [4 rue Senebier Geneve Suisse], Archivio Contemporaneo Gabinetto G.P. Vieusseux, inedite)
Oreste Ferrari, irredento, poeta, discepolo di Cesare Battisti, antifascista impegnato anche nella seconda guerra, sostenendo l’opera di Gigino Battisti, era frequentato da Virginia dal lontano 1912 e presentato da lei alla famiglia Tallone, con la quale Oreste si apparenta, sposando Emilia (Milini) Tallone. Poco dopo la tragedia di Alpignano, in cui morirono moglie e figlia, il figlio Mimmo ventenne, appena varcato il confine italo svizzero, il 27 novembre del 1943 cade in un crepaccio all’Alpe di Borna in Val Mesoncina, nei Canton Grigioni. Gigino Battisti conduce le ricerche vane. Un pastore svizzero di origine trentina ritrova il corpo solo il 3 gennaio del 1944, che Gigino riporta a Lugano al padre distrutto, consolato dalla presenza dei patrioti italiani li’ rifugiati.
“Accogli nel tuo grembo/ la spoglia ancor dispersa e insepolta,/del figlio mio, che il nembo/di una sorte funesta/ ha travolto nel fiore/ della sua giovinezza/ ed ora giace nella neve,/ sull’alpe ov’e’ caduto/ accoglilo materna, per il pianto/che ti offro, unico bene che mi resta/da che ho tutto perduto…” (Oreste Ferrari, Preghiera, 2-3 gennaio 1944.)
La sua preghiera fu esaudita il 3 gennaio con il ritrovamento del corpo del figlio.








Allegra e Oreste Ferrari. Disegni di Guido Tallone, Archivio Tallone
Mimmo Ferrari Archivio Tallone

Virginia trascorre poi un anno e mezzo a Ginevra un periodo finalmente sereno e felice, ospite dal gennaio 1944 della sua cara amica Alice Descoeudres, docteur honoris causae: “cosi’ utopista e cosi’ ottimista che tra lei e me, formiamo due numeri donneschi abbastanza strani” (14-1-44 lettera da Les Avants, campo rifugiati, a Gina Ferrero senza indirizzo [Ginevra 4 rue Senebier], Arch. G.P. Vieusseux, inedita)
Alla fine della guerra vive tra Milano, Londra, in visita al figlio ingegnere, Alpignano e Lugano, dove si stabilisce il 1954.
Ricordo bene zia Virginia l’ultimo anno che venne ad Alpignano, prima di trasferirsi a Lugano. Mi raccontava le sue storie di ragazzi svegli ed avventurosi, io e lei, al tavolone di pietra davanti alla casa, sotto il pergolato d’uva fragola. Quell’ultimo anno aveva voluto restare anche l’inverno, sola, nella stanzetta in fondo all’infilata settecentesca, la sua da bambina. Il fornelletto che usava si rovescio’, il tavolino prese fuoco e lei rimase solo un po’ affumicata. Era cosi’ discreta da non lasciar mai traccia del suo passare, tranne quell’ultimo piccolo marchio a fuoco nel centro del tavolino di noce.
A Lugano si propone di riordinare le sue poesie e ristampa il suo primo libro di gioventù “Le reliquie di un ignoto” col nuovo titolo “La porta sbarrata” a puntate sull’illustrazione Ticinese.
Ecco che si chiude il cerchio, in quel simbolico libro, dove i germogli della sua futura vita erano appena spuntati.
Amava l’indipendenza del pensiero, da non confondersi con l’anarchismo, e l’ideale di libertà, a costo della vita.
Nella sua attività di femminista e nella appassionata convinzione, condivisa con altre coraggiose pioniere, della centralità del bambino come soggetto autonomo, non più evanescente figura sottoposta al volere dei genitori, Virginia credeva profondamente nella funzione della cultura, capace di rendere consapevoli le donne delle proprie forze.
Nei suoi articoli e persino nei libri per l’infanzia, si legge chiaramente la sua idea di libertà, che deve seguire il raggiungimento dell’autoconsapevolezza e della responsabilità personale. Lei che all’arte sua aveva dovuto tagliare le ali, aliena all’egoismo che ne è l’humus sostanziale, sottolinea la funzione dell’arte che ha il compito di sensibilizzare lo spirito, di arricchire la mente, di allargare le esperienze. Arte per affrontare la vita in generosità e coraggio e amore.
Muore all’Ospedale Italiano di Viganello, Lugano, l’1 luglio 1958.

Per tutte le fonti documentali rivolgersi all’Archivio Tallone Milano.